di ALESSANDRO
PACE
Le forze politiche, anziché seguire, per la revisione
costituzionale, l’unico percorso costituzionalmente legittimo – quello,
semplice e diretto, tracciato dall’articolo 138 – hanno da tempo deciso che,
per l’approvazione delle leggi costituzionali concernenti la forma di Stato, la
forma di governo e il bicameralismo perfetto, dovesse essere seguita – sulla
falsariga delle Commissioni Iotti (1993) e D’Alema (1997) – una procedura
appositamente disciplinata dal disegno di legge costituzionale n. 813 AS (di
seguito, ddl), che diverge dalla normativa costituzionale almeno sui seguenti
punti: il conferimento della funzione referente ad un unico Comitato (e non
alle Commissioni di Camera e Senato); l’attribuzione al Governo di un ruolo
determinante ancorché la revisione costituzionale esuli dall’indirizzo politico
di maggioranza; laprevisione di un crono-programma dei lavori che contrasta con
i “tempi lunghi” caratteristici delle leggi di revisione; la riduzione da tre
mesi a quarantacinque giorni dell’intervallo tra la prima e la seconda
deliberazione per l’approvazione delle leggi costituzionali; infine l’abnorme
estensione delle materie potenzialmente soggette a revisione.
Oggetto delle possibili future revisioni previste dal
citato ddl sono infatti i titoli I, II, III e V della Parte II della
Costituzione, e cioè tutte le norme relative al Parlamento, al Presidente della
Repubblica, al Governo e alle Regioni, Province e Comuni, nonché – come
improvvidamente aggiunto dal Senato nel luglio scorso – le «disposizioni della
Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse» a tali titoli. Il
che significa che potrebbero essere coinvolti anche i titoli IV (Magistratura)
e VI (Garanzie costituzionali).
In pratica più di 69 articoli nei quali potrebbero, tra
l’altro, rientrare la reintroduzione dell’autorizzazione a procedere; la
modifica della disciplina del referendum abrogativo e dei decreti legge;
l’eliminazione della maggioranza dei due terzi per l’approvazione delle leggi
di amnistia e di indulto; l’istituzione di una Corte di disciplina per tutti i
magistrati: materie alle quali vanno aggiunte la possibile modifica della forma
di Stato, della forma di governo e del bicameralismo, che originariamente,
nell’art. 2 comma 1 del ddl presentato dal Governo, erano indicate come le sole
materie passibili di revisione nell’ambito dei titoli I, II, III e V della
Parte II.
Il Senato, nel citato emendamento, ha stravolto il disegno
governativo. Mentre da un lato ha escluso che le norme modificabili dei titoli
I, II, III e V debbano riguardare esclusivamente la forma di Stato, la forma di
governo e il bicameralismo, dall’altro ha addirittura esteso l’oggetto delle
possibili revisioni alle «disposizioni della Costituzione o di leggi
costituzionali strettamente connesse ». Così facendo, il Senato ha talmente
ampliato la sfera delle possibili riforme costituzionali da rendere non solo
dubbia la possibilità che le future leggi di revisione possano essere
effettivamente omogenee e autonome dal punto di vista del contenuto, come
previsto dall’art 4 comma 2 del ddl, ma ha finito per trasformare, di fatto, il
potere di revisione del Parlamento repubblicano in un eversivo potere
costituente. È infatti indubbio che, alla luce di quanto disposto dal ddl come
emendato, il Parlamento potrebbe modificare l’intero impianto dell’ordinamento
della Repubblica.
Di qui l’auspicio che la Camera, ai primi di settembre,
modifichi il ddl, da un lato ripristinando l’originario testo del Governo (che,
per quanto discutibile, lo era assai meno di quello emendato dal Senato),
dall’altro, eliminando quanto meno l’ambiguo (e pericoloso) accenno alla
modifica della “forma di Stato”.
C’è però un altro rilievo che si collega al precedente.
Agli osservatori più attenti la scelta sottesa al ddl di modificare
contestualmente la forma di Stato, la forma di governo, il bicameralismo e il
numero dei parlamentari era subito parsa intimamente contraddittoria sia con la
natura emergenziale del Governo Letta sia con l’urgenza di approvare quanto
meno la legge elettorale e le leggi costituzionali di riforma del bicameralismo
perfetto e del numero dei parlamentari. Se questa tesi – sostenuta anche da
Ezio Mauro su queste pagine sin dallo scorso febbraio – fosse stata seguita,
ora forse ci troveremmo a metà strada nell’approvazione di almeno un paio di
importanti leggi di revisione costituzionale.
Avendo invece il Governo e le forze politiche deciso di seguire la via
dell’approvazione di una procedura speciale – necessaria per modificare nel
contempo materie tanto differenti tra loro (il che l’art. 138 non consente) –
la conseguenza è che la presentazione dei singoli disegni di legge
costituzionale non potrà avvenire prima dell’approvazione del ddl cost. n. 813,
e cioè non prima della fine dell’anno. A meno che, con un improvviso
ravvedimento, il Governo, abbandonata – definitivamente oad hoc –la via della
procedura speciale, approvi al più presto il disegno di legge di riforma del bicameralismo
(se non anche altri), seguendo la procedura –semplice, sicura e legittima– dell’art. 138.
La Repubblica 30.08.2013
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