di Daniela
Preziosi
Professor
Rodotà, partiamo dal voto al Senato sullo «strappo» – parole sue – all’art. 138
della Carta. Per soli cinque voti al Senato sono stati superati i due terzi dei
sì. Non sarà possibile fare il referendum.
Partiamo dal dato
numerico: si è visto in maniera evidente che sulla modifica dell’art.138 il
consenso parlamentare è molto modesto. La maggioranza non è stata compatta. Per
ragioni di convenienza politica?, per schermaglie interne al Pdl? Sta di fatto
che su questo passaggio grave non si può dire che ci sia una forte convinzione
parlamentare. Bastava che pochi uscissero dall’aula o si astenessero perché il
risultato fosse capovolto. E chi dice che una parte del Pdl ha votato
strumentalmente conferma che ogni passaggio delle riforme potrà essere
caratterizzato da questa strumentalità. Questa non è una maggioranza cui può
essere affidata la riforma.
La
parte del Pd a cui voi della ‘via maestra’ vi eravate rivolti, a parte rare
eccezioni, non ha risposto.
La strada scelta
ha attutito la sensibilità costituzionale all’interno del Pd. Non voglio fare
polemiche personali, ma sbaglia chi derubrica la modifica del 138 a passaggio
tecnico. Non è così: è un fatto senza precedenti. La riforma di Berlusconi e
quella dell’art.81, buone o cattive che fossero, sono state fatte rispettando
la regola di garanzia.
C’è
chi obietta: è una procedura sospesa solo per questa volta.
È un’obiezione
strumentale. Ci si batte per il voto segreto sulla decadenza di Berlusconi con
l’argomento che non si cambiano le regole a partita cominciata, ma in questo
caso non vale? E dire che è stato rispettato «lo spirito» di quell’articolo non
sta in piedi: se cambia la procedura si introduce una logica diversa. Si crea
un precedente. Un’altra maggioranza, con intenti ancora peggiori di quella
attuale, potrebbe dire: l’abbiamo già fatto.
Un’altra
obiezione: i costituenti hanno stabilito che se l’approvazione avviene con i
due terzi del parlamento il referendum non serve. I due terzi sono stati
raggiunti.Chiedevate di contraddire un principio voluto dai costituenti?
Qui c’è un difetto
di informazione: le maggioranze di garanzia previste dalla Costituzione
facevano riferimento ad un parlamento eletto con il proporzionale. La presenza
di tanti gruppi era garanzia al fatto che nessuno effettuasse forzature. Noi
siamo passati a leggi elettorali maggioritarie che hanno fatto venire meno
questa garanzia, informale ma di sostanza. Ricordo che all’indomani della
riforma costituzionale di Berlusconi fu Oscar Luigi Scalfaro a dire: dobbiamo
proporre una modifica perché quella maggioranza, in regime maggioritario, è
troppo bassa. Voglio aggiungere un’altra considerazione: si sostiene che
bisogna riaprire canali di comunicazione fra cittadini e istituzioni, e invece
introduciamo modifiche costituzionali senza che i cittadini abbiano subito la
possibilità di dire la loro.
La
senatrice Puppato, presente alla vostra manifestazione, poi ha votato sì e ha
detto al manifesto: i costituenti avevano più fiducia nel parlamento dei
costituzionalisti della ‘via maestra’.
Appunto, la
considerazione che Puppato non fa è che in filigrana della Costituzione c’è la
legge proporzionale. Oggi alla Camera con il 25 per cento si prendono 340
seggi: ma dov’è la garanzia? Da parte nostra verso le camere c’era una forte
speranza, più che fiducia: un parlamento consapevole di come è stato costituito
deve lasciare ai cittadini la possibilità di intervenire. Non abbiamo fatto le
barricate, ma invitato i parlamentari a riflettere.
La
stessa richiesta fu rivolta nel corso della modifica dell’art.81,
l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione.
E anche allora non
fu ascoltata. I cittadini sono stati tagliati fuori in un passaggio che secondo
alcuni altera di molto la logica costituzionale. Ci dicono che quella era una
questione di sostanza, e forse avevamo ragione, ma questa di oggi invece è una
questione di procedura: no, è la garanzia delle garanzie.
Quello
di mercoledì è stato in fondo un nuovo voto di fiducia alle larghe intese.
Tant’è che chi ha votato no da destra, lo ha fatto per ‘avvertire’ il governo
Letta.
Questo conferma che la riforma è nelle mani di chi la adopera come
strumento di guerriglia parlamentare per le faccende interne ai singoli
partiti. Come si può affidare la riforma a chi punta a salvare la maggioranza e
non guarda al merito?
Vi
aspettavate di più da quell’area critica del Pd che invece fatica, tranne poche
eccezioni, a praticare il proprio dissenso?
Questi sono affari
loro. Per me chi è venuto in piazza il 12 ottobre ha dimostrato che il
tentativo di mettere insieme una coalizione sociale – non un partito – è stato
percepito anche da chi sta nei partiti, che non l’ha vista come un’aggressione.
In piazza c’erano quelli molto critici con le modalità di funzionamento del Pd,
che ora possono trarre forza dalla legittimazione che viene dai cittadini. Nel
Pd questi parlamentari sono pochi, ma la loro presenza è importante. Speriamo
che fra loro questa consapevolezza cresca.
Il
presidente Napolitano ha detto: «Per far vivere la prima parte della
Costituzione bisogna far vivere la seconda». È d’accordo?
Dipende dalle
modifiche. Il rapporto fra la prima e la seconda parte della Carta è una
discussione aperta da tempo. La Costituzione non si può tagliare a fette.
Modificare la seconda può avere effetti sulla prima. Se per esempio si modifica
il procedimento legislativo in modo da diminuire le garanzie, o si interviene
sulla magistratura intaccando la sua indipendenza, succede che la prima parte
formalmente non è stata toccata, ma sostanzialmente sì. La stessa riforma
dell’art.81 agisce pesantemente sulla tutela dei diritti previsti nella prima
parte. La mia domanda è: in che modo modificheranno la seconda parte?
Le
riforme saranno materia di discussione dei prossimi mesi. Ora Luciano Violante
vi ha invitato al dialogo. Accetterete?
Nessuno di noi si
è mai chiuso al dialogo. Al contrario, abbiamo cercato di rendere la
discussione aperta e libera, lasciando anche spazio adeguato anche ai
cittadini. Noi, intendo noi organizzatori della manifestazione ‘la via
maestra’, ora lavoriamo a individuare le questioni di merito all’ordine del
giorno della commissione dei 42. Benvenuta la disponibilità alla discussione,
mi auguro che non ci saranno più le chiusure verificate finora. Soprattutto mi
auguro che sia mantenuto il progetto di società che sta dentro la Costituzione.
Che è fortemente collegato alla forma di governo.
Dopo
la manifestazione del 12 ottobre c’è stata quella del 19, sul diritto
all’abitare. C’è un collegamento fra le due piazze?
Il collegamento è
nelle cose. C’è stato un tentativo di descrivere quella manifestazione solo
come un rischio per l’ordine pubblico. Ma anche un critico molto severo come il
giudice Giancarlo Caselli, in alcuni casi giustamente severo sull’uso di metodi
violenti, ha messo in evidenza il carattere pacifico e serio di quella
manifestazione, che non è stata inquinata da altro. In quella piazza è stato
individuato uno dei diritti fondamentali di cittadinanza, quello
dell’abitazione. Forse da parte dei manifestanti del 19 ottobre c’è una
sottovalutazione dell’importanza delle garanzie costituzionali. Noi, il 12, avevamo
come punto di riferimento la necessità di mantenere in piedi il quadro
complessivo delle garanzie democratiche: se questo viene incrinato, anche la
possibilità di affermare specifici diritti finirebbe limitata. Ma non c’è
alcuna incompatibilità fra le due manifestazioni, come qualcuno ha provato a
dire. Ci sono affermazioni, scelte di metodo e di agenda che possono non
coincidere. Ma il punto è comune.
C’è
chi ha detto: quella del 12 ottobre era la manifestazione di chi i diritti li
ha, quella del 19 di quelli che non ce l’hanno. Cercherete un dialogo?
Sono sempre
sospettoso con letture del genere. La presenza o l’assenza della Fiom non è
fatto che possa essere liquidato con leggerezza. La Fiom non difende solo i
diritti di quelli che ce l’hanno. Anzi sui luoghi di lavoro fa la battaglia per
chi i diritti li ha persi. Evitiamo vecchie polemiche, o ragionamenti che
rischiano di essere giochini. Oggi è necessario affermare la dimensione dei
diritti in tutta la sua pienezza.
Quale
sarà la prossima tappa della ‘via maestra’?
Ci stiamo
lavorando. Stiamo prendendo atto delle moltissime suggestioni arrivate dalle
molte partecipazioni, individuali e collettive. Ci faremo vivi nei prossimi
giorni.
Il Manifesto,
26.10.2013