martedì 27 agosto 2013

Consulta, legge Severino e Corte Costituzionale: quale verità? Intervista a Paolo Maddalena


“La Giunta non ha titolo per rivolgersi alla Consulta”
Intervista a Paolo Maddalena


"Non si può pensare che tutto sia lecito, che tutto si possa fare, perché così salta l’ordinamento della vita civile. E se barattiamo la nostra legalità costituzionale con le esigenze di salvare il governo facciamo un errore enorme."



di Marco Filoni


Sulla vicenda dell’agibilità politica di Berlusconi se ne leggono davvero molte (in tanti si sono improvvisati dotti giuristi per interpretare le norme con molta libertà d’immaginazione). Quando il prossimo 9 settembre la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato dovrà decidere sulla decadenza del senatore Berlusconi non  potrà far altro che far valere la legge Severino, quella sull’incandidabilità (quindi sulla decadenza) di condannati in via definitiva. Ecco perciò che i sostenitori del Cavaliere vorrebbero che questa legge fosse giudicata dal parere di numerosi e autorevoli costituzionalisti. Da qui l’idea di sottoporla al parere della Corte Costituzionale (che significherebbe due mesi per decidere l’ammissibilità del parere e, nel caso, circa un anno per entrare nel merito). Abbiamo chiesto a Paolo Maddalena, che quella Corte l’ha presieduta (attualmente ne è vicepresidente emerito), cosa ne pensa.

Dottor Maddalena, si rivolgeranno alla Corte?

Credo che non ci sia lo strumento procedurale per arrivare alla Corte. La Giunta è un organo amministrativo, così come la Camera è un organo legislativo. E in quanto tali non hanno accesso alla Corte Costituzionale. La legge che regola il giudizio davanti alla Corte dice che il ricorso può essere promosso solo in via principale, da parte dello Stato (Regioni, amministrazione centrale, ecc.) con termini di decadenza; oppure in via incidentale nel corso di
un giudizio davanti al giudice ordinario o al giudice amministrativo.
Il procedimento davanti alla Giunta non si può definire un procedimento giurisdizionale.

Ma esistono eccezioni?

C’è qualche precedente, direi poco condivisibile, in materia di accertamento di eleggibilità da parte di consigli comunali. Ma è una giurisprudenza molto remota. Al contrario esiste giurisprudenza chiara e recente che ha stabilito, sia per la Camera sia per il Senato, che la procedura davanti alla Giunta non ha valore di giudizio. Quindi non c’è la sede per poter sollevare la questione di incostituzionalità.

Eppure sembra la via indicata da molti...

Ma cosa si va a impugnare? Il Parlamento impugna una legge che lo stesso Parlamento ha adottato? Già questo mi sembra assurdo. E poi il nocciolo giuridico che è stato prospettato consisterebbe nel sostenere che questa legge contrasta con l’articolo 3 della Costituzione, in quanto la posizione del Capo del governo è diversa da quella di tutti gli altri cittadini. Quell’articolo recita che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Ma c’è anche l’articolo 54 della Costituzione che si dimentica; questo dice che tutti i cittadini devono rispettare la legge e la Costituzione, ma i cittadini che sono investiti di pubbliche funzioni (quindi i magistrati, i parlamentari, il capo del governo e i ministri) devono agire con dignità e onore. Come si fa a dire che queste persone sono discriminate? Mi pare assurdo mettere in campo un principio di disparità di trattamenti. La legge Severino è una norma perfettamente in linea con la Costituzione. Se il potere legislativo ha cambiato opinione faccia un’altra legge. Ma intanto quella che c’è va attuata.

C’è chi sostiene che questa legge non può essere retroattiva.

Ma non è una legge penale, per la quale si può parlare di irretroattività. È una legge che stabilisce quali sono i requisiti per essere eleggibile. Vale perciò il principio che è stato una della ultime conquiste della nostra legislazione: parificare l’illegittimità preventiva alla decadenza  successiva. Non c’è via di scampo. Si sta creando un polverone su nulla.

Un nulla condiviso da molti commentatori...
Mi meraviglio dei soggetti, anche pregevoli, che sostengono queste idee. Siamo di fronte a un caso chiaro: c’è una condanna passata in giudicato e questa è il presupposto per l’applicazione della legge Severino, che non è penale e quindi non si pone la questione della irretroattività.

Quindi?

La legge va applicata con piena coscienza e senza nessun ripensamento. Dal punto di vista giuridico è chiarissima, non c’è possibilità di scampo.

E se il ricorso alla Corte fosse solo un pretesto per prender tempo?

Se così fosse sarebbe gravissimo. Se si trattasse di una specie di escamotage allora inviterei alla prudenza: bisogna star attenti che così si fa crollare la Costituzione perché si va a colpire la sua essenza. Ovvero la legalità costituzionale, la conformità della legge alla Costituzione.

Poniamo il caso che davvero si farà ricorso alla Corte: questa che farà?

A mio avviso non ha altra via che dichiarare il ricorso inammissibile.

Sarebbe un colpo durissimo per chi l’ha proposto.

Cosa s’aspettano del resto se chi chiede il parere non è un giudice?

E se per, diciamo così, “cortesia istituzionale”, dichiarasse il parere ammissibile?

A quel punto dovrebbe entrare nel merito e dichiararlo infondato. Ma arrivare a questo punto sarebbe grave. Non si può pensare che tutto sia lecito, che tutto si possa fare, perché così salta l’ordinamento della vita civile. E se barattiamo la nostra legalità costituzionale con le esigenze di salvare il governo facciamo un errore enorme.
Perché la legalità costituzionale è il fine ultimo della vita civile.

Il Fatto Quotidiano 27.08.2013

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