Il Fatto Quotidiano 13 agosto 2013
Alberto Lucarelli
“I cittadini non vogliono più delegare ai nominati ”
di Marco
Filoni
Alberto
Lucarelli è presidente dei comitati “Viva la Costituzione” e professore
ordinario di Diritto costituzionale alla Federico II di Napoli. Insieme ad
Antonio Ingroia è stato fra i primi firmatari dell’appello a tutela della
Costituzione. Nessuno meglio di lui può raccontarci come è nata l’iniziativa.
Professore,
perché quest’appello?
Si
tratta di una mobilitazione che parte dal basso, in continuità con il movimento
iniziato nel 2009 e 2010, poi sposato con i referendum del 2011. Questo perché
la Costituzione è giustamente considerata come un “bene comune”. Perciò tutti,
al di là dei tecnicismi, capiscono che modificando questo articolo
si sta per modificare il grande patto costituente che,
a partire dal 1948, regge la convivenza civile e sociale fra i
cittadini.
Eppure c’è chi
dice che questo processo di revisione tocca solo la seconda parte della Carta.
Ma non è vero:
formalmente tocca solo la seconda parte. Ma il progetto è quello di incidere sulla
prima parte, penso per esempio ai diritti dei lavoratori.
Crede che questo
aspetto sia chiaro nell’opinione pubblica?
Penso proprio di
sì. E lo si capisce dallo straordinario risultato ottenuto: le firme raggiunte sono
moltissime. E quelli che hanno firmato non sono certo tutti costituzionalisti. Questo
appello non ha forza conservatrice, esprime piuttosto la volontà di voler attuare
la Costituzione prima di pensare di riformarla. Se ci fosse onestà
intellettuale bisognerebbe dire che la vera e sola riforma da fare è proprio
questa: attuare, dare effettività, a tutti quei principi costituzionali che al
momento sono disattesi o addirittura sostanzialmente disapplicati.
E quali sono?
Abbiamo una serie
di norme ordinarie che circolano nel nostro paese e sostanzialmente disattendono
i principi costituzionali. Penso in particolare ai principi fondamentali come,
per esempio, i rapporti economico-sociali. Il senso forte della petizione
promossa dal Fatto è proprio questo: l’idea di un esercizio di
democrazia partecipativa.
Che ha sempre più
forza...
Da alcuni anni si
ha l’impressione che non si vuole e non si deve più delegare, soprattutto a un
gruppo di persone che sono “nominate da nominati”. Che questi possano andare a colpire
la norma di garanzia dei processi di revisione della Costituzione lascia
decisamente perplessi. Non si può lasciare tutto alla democrazia della
rappresentanza: i cittadini attivi non vogliono più delegare ma vogliono
riappropriarsi dei grandi temi.
Chi firma e
aderisce all’appello identifica la difesa dell’articolo 138 alla difesa della
Costituzione in toto.
E fa bene perché
è proprio così. La nostra Costituzione si dice “rigida” e la sua rigidità è data
proprio dal 138, cioè dal procedimento di revisione particolarmente articolato.
Ora, certo che si può cambiare la Costituzione, ma non si può cambiare la
rigidità: non si può rendere più facile il processo di revisione della Carta. È
il nodo fondamentale. Per questo dietro al ddl si cela un progetto politico.
Alessandro
Pizzorusso ha detto al Fatto che l’art. 138 è secondo lui
uno dei principi immodificabili della Costituzione.
Sono
totalmente d’accordo. Anche perché i sostenitori di questo disegno di legge ci
dicono che è una deroga al 138.
Ma così non
è. Non possiamo considerarlo una deroga per un semplice motivo: l’approvazione delle
leggi costituzionali che poi ci saranno per via di questo procedimento
derogatorio producono effetti permanenti sul sistema costituzionale. Non è una
deroga: va detto e ribadito. Anche se si ammettesse che il nostro ordinamento possa
prevedere leggi costituzionali di deroga, questo ddl non potrebbe essere qualificato
come norma in deroga in quanto determina mutamenti definitivi.
E
Napolitano, che ha sempre fatto della difesa della Costituzione un proprio
vessillo?
Il mio auspicio è
che intervenga al più presto. Questo procedimento di revisione lo stanno
portando avanti a porte chiuse, i cittadini vi sono esclusi. Spero che uno
degli effetti di questa spinta dal basso sia quella di indurre il Capo dello
Stato a intervenire.
Dice giustamente Lucarelli: "Questo procedimento di revisione lo stanno portando avanti a porte chiuse, i cittadini vi sono esclusi.". Viste le difficoltà economiche, politiche, ambientali, di turbolenza internazionale, le nostre elite casarecce italiote cercano con la modifica dell'articolo 138 della Costituzione la via facile verso un fascismo soft, nascosto da belle immagini di falsa democrazia. Come quei fascisti che si chiamano popolo della Libertà.
RispondiEliminaL'aspetto più preoccupante è proprio il "segreto", la fumosità, la strada veloce e nascosta di modifica dell'architrave della Costituzione l'art. 138.
RispondiEliminaE' giusto poter modificare la Costituzione ma come esito di un nuovo patto sociale, come dice giustamente Lucarelli, non certo da parte di un Parlamento debole, tenuto in piedi per miracolo, con bassissima fiducia da parte dei cittadini e perdipiù "pensate" da una commissione di nominati ad hoc.
Non c'è ancora una sufficiente mobilitazione, proporzionata alla gravità delle cosa.
Lucarelli sopravvaluta l'informazione tra la gente. Solo un minoranza capisce cosa sta succedendo. Va fatta informazione, informazione, e ancora informazione...