Costituzione, Settis firma l’appello del Fatto:
“Non hanno diritto di cambiarla”
Lo storico
dell'arte: "Questo Parlamento non è legittimato per esprimere una
Costituzione. Sta avvenendo una forzatura: questo è un governo di necessità e
di scopo che doveva fare un certo piccolo numero di cose fra cui la riforma
elettorale che invece si vuole fare dopo. E' tutta una manovra della destra per
incidere profondamente. Spero che il Pd rinsavisca"
“Ho
firmato l’appello del Fatto Quotidiano
con grande convinzione perché ritengo che la Costituzione sia davvero in pericolo”.
Salvatore Settis, studioso di fama internazionale e importante voce
critica del nostro tempo, ha parole chiare e dure sulla vicenda.
Professore, che sta
succedendo con il disegno di legge di modifica dell’articolo 138?
Sta
avvenendo una forzatura. Questo è un governo di necessità e di scopo che doveva
fare un certo piccolo numero di cose fra cui al primo posto c’era sempre stata
la riforma di quell’orrenda legge elettorale che ci ritroviamo. Ora invece
scopriamo che la prima cosa che deve fare è cambiare la Costituzione – e non è
cosa secondaria, parliamo della forma dello Stato e di governo – mentre la
riforma del Porcellum, così chiamato non per caso, viene demandata alla
stessa commissione come se fosse un pezzo della Costituzione. Non mi convince
per nulla che questa modifica diventi una necessità immediata, addirittura da
fare prima della legge elettorale. E l’intervista che ha dato la Gelmini
(ieri su Repubblica, ndr) ci dice che siamo sotto scacco di un
ricatto: il fatto che riforma costituzionale e quella elettorale stiano insieme
dimostra che c’è tutta una manovra della destra per incidere profondamente
sulla Costituzione, che Berlusconi definiva sovietica. Spero vivamente che il
Pd rinsavisca in tempo.
I Padri costituenti,
lungimiranti, pensarono al 138 in maniera articolata: in un suo intervento
molto duro su Repubblica lei lo chiama frutto di “calibratissima ingegneria
istituzionale”…
La Costituente vera, l’unica che abbiamo avuto
nel 1946 e 1947, è tutt’altro rispetto alla Costituente finta, quella che si
vuol fare adesso. Le due differenze principali sono che quella vera fu eletta
per scrivere la Costituzione, aveva perciò uno scopo. Invece il Parlamento di
oggi non è legittimato per esprimere una Costituzione, anche per il modo con
cui non è stato eletto ma nominato col Porcellum. Al lavoro della Costituente
vera poi si affiancò una grande opera di alfabetizzazione costituzionale (c’era
un ministero apposito, retto da Nenni sia col governo Parri che
con quello De Gaspari): c’erano trasmissioni quotidiane alla radio in
cui si educava e si informava. Si trattava di coinvolgere nel progetto di
scrittura della Costituzione più gente possibile. Ora si tratta invece di
tenerlo il più nascosto e lontano possibile dall’opinione pubblica, magari promettendo
improbabili sondaggi via web che sono tutt’altra cosa.
Qual era nel dopoguerra
il livello di quella discussione?
Leggendo gli atti della
Costituente – un testo meraviglioso che bisognerebbe antologizzare – si impara
una cosa che oggi sembra quasi una favola: i deputati della Costituente
studiavano! Andavano a fondo. Su proposta di Giorgio La Pira furono
tradotte in italiano tutte le costituzioni del mondo. C’è un libretto prezioso
che fu distribuito a tutti i costituenti: quando affrontavano qualsiasi
argomento, che fossero temi culturali o le modifiche costituzionali, avevano
uno sguardo mondiale. In questo contesto si discusse se si poteva cambiare o
meno la Costituzione.
Ed eccoci all’articolo
138.
Che è la procedura con il quale cambiarla. La Costituzione fu
interpretata come rigida, che non è il contrario di flessibile, bensì di
segmentata. Vuol dire che tutte le sue parti si tengono insieme. Un articolo
non si può cambiare senza cambiare l’architettura dell’insieme. Appunto per
questo c’è il 138, proprio per evitare che una maggioranza improvvisata o
temporanea potesse modificare un articolo a sua immagine e somiglianza
sfigurando l’intera architettura della Costituzione. La Carta può esser
cambiata, ma con grande prudenza e largo consenso. Come ha detto il giurista Alessandro
Pace, “è modificabile ma non derogabile”.
Nel dibattito di allora
il democristiano Benvenuti disse che le modifiche non dovevano esser affrettate
perché altrimenti potevano “recare la complicità del presidente della Repubblica”.
Cosa voleva dire?
La preoccupazione era che un presidente fosse
messo con le spalle al muro, costretto a firmare una modifica. Era una sorta di
garanzia della figura suprema del presidente.
Vede analogie con oggi?
Esprimo
la speranza che ci siano a Roma i custodi della Costituzione. Compreso il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: spero che da una
riflessione accurata su quello che sta accadendo possa ricavare la coscienza
che la sua persuasione morale (se vogliamo dirlo in italiano e non col pessimo
anglismo moral suasion) debba esser esercitata nella direzione di un
rigorosissimo rispetto dell’articolo 138.
Da Il Fatto Quotidiano
del 30 luglio 2013
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