LA RIFORMA ABBANDONATA
di Alessandro Pace
la Repubblica, 9 gennaio 2014
Con l'annuncio, a fine anno, da
parte del Presidente della Repubblica che le riforme costituzionali
"restano una priorità" ma "le procedure da seguire...… sono
rimaste quelle originarie", è stato ufficialmente chiuso il capitolo delle
riforme costituzionali previste dal disegno di legge costituzionale 813 (di
seguito, ddl 813). Sarebbe però un errore fare finta di niente e non parlarne
più. Un silenzio che, in un futuro anche prossimo, potrebbe consentire di
riesumare ancora una volta il metodo di revisione costituzionale
"derogatorio", "speciale" e "straordinario"
incentrato su di una Commissione bicamerale per le riforme, già tentato
infruttuosamente nel 1993, nel 1997 e, da ultimo, nel 2013. Dovrebbe piuttosto
aprirsi un ampio dibattito, in sede istituzionale oltre che scientifica, nel
quale siano discussi i molti aspetti controversi del ddl 813, di cui cercherò
qui di seguito di evidenziare almeno i tre più importanti.
Il primo è costituito dalla
lampante contraddizione tra il formale ossequio all'articolo 138 -ritenuto
tuttora idoneo a 'garantire' i valori ed i principi della nostra Costituzione
mediante il procedimento di revisione ivi previsto (e perciò non modificato)- e
la previsione di un metodo 'alternativo', una tantum (!), per le riforme costituzionali.
Diversamente da quanto erroneamente ritenuto anche in sede di discussione
parlamentare del ddl 813, deve essere sottolineato che l'articolo 138 non è una
disposizione costituzionale come le altre i cui principi possono essere
bilanciati con altri principi e, se del caso, derogati. L'articolo 138 è invece una 'regola' (autorevoli filosofi
del diritto, quali Bobbio e Dworkin, la definirebbero "una regola
costitutiva"). Come tale, l'articolo 138 dà luogo ad un'alternativa secca:
rispettarlo o violarlo. Esso potrà bensì essere stabilmente modificato (a patto
che si rispettino i due principi su cui si basa: il principio di rigidità
costituzionale ed il principio democratico, che si realizza con il referendum
popolare), ma non derogato. Ogni deroga all'articolo 138 si risolve infatti in
una sua elusione. Ed ogni elusione costituisce una 'frode' alla Costituzione.
Il secondo aspetto critico del
ddl 813 sta nella riesumazione del modello della Commissione bicamerale, già
seguito infruttuosamente nel 1993 e nel 1997. Il quale si giustificava a quei
tempi in quanto era allora prevalente la tesi secondo la quale le leggi di
revisione costituzionale potevano contenere decine e decine di articoli
relativi alle più disparate materie (leggi omnibus, quindi). Dopo il 1997 le
cose però cambiano. Diviene prevalente la tesi (la cui esattezza verrà ribadita
dal fallimento, col referendum del 2006, della legge costituzionale omnibus voluta da Silvio Berlusconi)
secondo la quale il doveroso rispetto degli elettori impone che il contenuto
delle leggi costituzionali debba essere omogeneo perché essi possano
consapevolmente esprimere il loro voto in sede referendaria. Ebbene, il ddl 813
fa suo questo indirizzo dottrinale, ma anziché seguire la via maestra della
procedura prevista dall'articolo 138 per la revisione della forma di governo,
del bicameralismo perfetto e della forma di Stato, esso prevede l'istituzione
di una Commissione bicamerale a cui affida anche l'esame della legge
elettorale. Va da sé che la previsione di una apposita Commissione bilaterale
per le riforme costituiva un'occasione troppo ghiotta per non aggiungere altra
carne al fuoco. E così, in occasione della prima lettura del ddl 813, il Senato
approva un emendamento che allarga a dismisura l'oggetto originario del ddl
(l'approvazione di quelle sole tre leggi costituzionali), con la conseguenza
che, in forza di esso, potranno costituire oggetto di revisione costituzionale
'tutti' gli articoli contenuti nei Titoli I (Parlamento), II (Presidente della
Repubblica), III (Governo), e V (Regioni, Province e Comuni), nonché gli
articoli inclusi nei Titoli IV (Magistratura) e VI (Garanzie costituzionali)
purché "strettamente connessi". Di qui il rilievo che il potere di
revisione era stato trasformato in un potere costituente potenzialmente
eversivo di pressoché tutta la Parte II della Costituzione (Ordinamento della
Repubblica).
Il terzo aspetto critico del ddl
813 sta nell'improprietà della presentazione di un ddl di revisione
costituzionale da parte del governo. Anziché seguire l'esempio dei Padri della
nostra Repubblica che tennero distinta l'attività dell'Assemblea costituente da
quella del governo De Gasperi, i padri del ddl 813 non hanno differenziato
l'attività del governo Letta
dall'attività di revisione costituzionale, e ciò al precipuo scopo di
salvaguardare le cosiddette 'larghe intese' (evidentemente ritenute più
importanti della stessa Costituzione). Ebbene, a parte ogni ulteriore rilievo
critico a taluni aspetti 'di contorno' -quali la costituzione di una Commissione
di 'esperti' nominati dal Presidente del Consiglio, concepibile in un sistema
(semi) presidenziale come quello francese (così la Commissione Balladur), ma
non in quello parlamentare italiano-, la conferma della fondatezza della
critica alla commistione tra livello di governo e livello costituzionale sta
proprio nelle ragioni che hanno determinato, da parte del Presidente del
Consiglio, l'abbandono del procedimento di approvazione del ddl 813: la scelta
di Forza Italia di recedere dalla maggioranza di governo.
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