venerdì 4 ottobre 2013

Per una Costituzione come scopo e bene comune: partiti un passo indietro, movimenti un passo avanti


Prima e dopo il 12 ottobre. Alcune riflessioni

Da quando si è cominciato, o meglio ricominciato, a parlare di riforme della Costituzione dalla rabbia e dall'indignazione è gemmata un'altra emozione: la paura.
Era inevitabile il pensiero che siamo alla resa dei conti.
Da anni è evidente il progressivo esautoramento degli stati nazionali e della politica come loro strumento elettivo. Al di là della vergogna o tristezza nazionale chiamata Silvio Berlusconi, questo è un fenomeno globale e transnazionale che ha origini lontane.
Le "piccole" modifiche della Carta nata dalla Resistenza (nel 2001 tit. V Parte II Cost., artt. 114-133 e all'art. 118 comma 1; 2012 Il fiscal compact, art. 81) che riguardavano sussidiarietà e pareggio di bilancio, quanto sono state efficaci e chirurgiche per i sostenitori del neo-liberismo senza limiti, tanto sono state deleterie per chi crede in un modello diverso di convivenza umana. In ogni caso annunciavano ulteriori e definitivi attacchi all'ultima diga posta a salvaguardia della democrazia, dei diritti e, per dirla con Hannah Arendt, del diritto di avere dei diritti.
Dicevo, paura.
A luglio, quando con un colpo di mano estivo le riforme costituzionali sono state messe al primo posto dell'agenda parlamentare, la paura è diventata di necessità, azione.
A fine luglio è nato il Comitato Viva la Costituzione del Veneto e, successivamente, abbiamo partecipato e aderito all’Assemblea dell’8 settembre al Frentani di Roma, convocata da Rodotà, Landini, Carlassare, Zagrebelsky e don Ciotti, dalla quale è nata la proposta di una Manifestazione Nazionale a Roma per il 12 ottobre.
L’Assemblea ha decisamente convinto, per la prima volta dopo tempo si è respirata la possibilità di una seria e costruttiva opposizione senza velleità elettorali e centrata su un dialogo politico che sappia aprire al futuro e non al passato delle varie identità presenti.
L’Assemblea inoltre, ha convinto per le personalità dei promotori, non ambigue e autorevoli, per i contenuti, per la gestione di un processo teso a unire piuttosto che a dividere, per il timone orientato nella direzione dei movimenti e delle battaglie da questi sostenute e spesso vinte, tenendo fuori, saggiamente e speriamo con forza, i partiti.
Pur essendo consapevoli, dopo tante illusioni a sinistra, che non sempre il buon giorno si vede dal mattino, abbiamo semplicemente preso atto di un inizio molto positivo.
Giustamente è stato detto che il percorso tra il 9 settembre e il 12 ottobre, è e sarà indicativo della possibilità di aggregazione di tante realtà che possono identificarsi in un comune progetto di difesa e di sostegno della Costituzione, proposta come prossima Agenda politica.
Oggi, 4 ottobre, dopo la minaccia superata della crisi di governo e dopo l’ignobile balletto del PDL e del PD, la volontà di stravolgere la Costituzione appare, purtroppo,  ancor più forte e determinata, tanto da far pensare a molti, che sia proprio questo il principale obiettivo di questo disastrato ma potentissimo governo, presieduto nei fatti da Napolitano, dalla Troika e dai poteri economici che ne ispirano l’azione.
E’ ormai indubbio che l’Italia non è più governata da un governo e da un Parlamento eletto dai cittadini: il Parlamento è un parlamento di nominati eletti con una legge che verrà probabilmente dichiarata a breve incostituzionale, il governo è un governo non voluto dagli elettori e a decidere le sorti del governo, è un Presidente della Repubblica garante di una volontà europea e extrapolitica.  Molte volte è stata citata la relazione della Banca J.P. Morgan che esprime il diktat di annullamento delle Costituzioni nazionali che intralciano lo strapotere dei mercati.
Solo ora, ai più, questo disegno appare con chiarezza e solo ora ci si rende conto che i giochi sono quasi totalmente decisi.
L’8 settembre ha visto la luce una prima opposizione a tutto questo. Cosa ne sarà?
Maurizio Landini, nel suo intervento a conclusione dell’Assemblea al Frentani ha risposto che:  “se qualcuno vuole sapere come andrà a finire è meglio non inizi neppure”.
Ritengo una garanzia questa mancanza di promesse: ne abbiamo sentite troppe di promesse e abbiamo avuto troppo bisogno di sicurezze fornite dal “salvatore” di turno.
Basta. Ora c’è bisogno di costruire, di non delegare, di riprendere in mano, ciascuno e ognuno il diritto-dovere di fare e soprattutto di ri-creare la politica.
Non è scontato.
Non è facile.
Non sarà un percorso scevro da delusioni e ferite.
Ma è l’unica e forse l’ultima possiblità che ci rimane.
Basta stare alla finestra per vedere se il progetto “ci convince”.
Non so quanti saremo a Roma, speriamo molti.
In ogni caso sarà dal 13 di ottobre che inizierà il vero lavoro. 
Più volte è stato chiesto a Rodotà e Landini se hanno intenzione di creare un nuovo soggetto politico.
La speranza che qui esprimiamo è che non lo facciano, per ora. Se dovrà essere, questo soggetto dovrà nascere come risultante necessaria di un processo di fusione sana delle energie migliori, dalla convergenza dei movimenti più intraprendenti e lungimiranti del paese, dalla saggia gestione di un processo politico inclusivo ma con il timone fermo verso l’obiettivo, dalla creazione di gruppi di lavoro, espressione di vere risorse umane e politiche e non vetrine narcisistiche e autoreferenziali di personalità singole, di cui è pieno l’orizzonte politico e sociale italiano, nei partiti come nei movimenti.
E’ necessario quindi promuovere un cambiamento culturale nei modi di far politica, una modalità all’altezza dei contenuti e delle forme che la politica oggi esige: persone nuove e credibili; non protagonismi o figure pseudo-salvifiche;  condivisione di buone pratiche sociali e politiche; processi partecipati innovativi e gestiti con competenza; termini e linguaggi nuovi, disancorati da tradizioni lise e desuete.
Tutto questo sarà possibile se partiti e movimenti sapranno fare, rispettivamente un passo indietro e un passo avanti.
I partiti e i soggetti politici tradizionali della sinistra dovrebbero fare, ovviamente, un passo indietro dal panorama politico e offrire, a questo progetto comune, il loro supporto logistico e organizzativo a livello territoriale. In questo caso il loro “non fare” sarebbe una potente azione politica e la rinuncia a simboli e bandiere l’accreditamento più forte di rinnovamento.
I movimenti, d’altro canto, dovrebbero cercare di superare particolarismi e localismi, effettiva risorsa fino a questo punto, ma che rischia di essere anche la loro massima debolezza in questa nuova fase. Parallelamente dovrebbero fare un decisivo passo avanti verso una maggiore assunzione di responsabilità politica, sia in termini di persone che di know how partecipativo e tecnico.
Si tratta quindi di un ricambio non necessariamente generazionale, ma sicuramente di un ricambio esperienziale e di modelli partecipativi.
Troppo ambizioso?
Sì probabilmente, ma se non riusciamo a fare tutto questo, sarà difficile poter ottenere risultati importanti: il peso specifico del passato sarà troppo forte e troppo pervasivo.
Dobbiamo puntare veramente in alto, in alto rispetto al grado di cambiamento per affrontare  una grande sfida che vede la Costituzione come punto di partenza e punto di arrivo comune.

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