Prima e dopo il 12 ottobre. Alcune riflessioni
Da quando si è cominciato, o
meglio ricominciato, a parlare di riforme della Costituzione dalla rabbia e
dall'indignazione è gemmata
un'altra emozione: la paura.
Era inevitabile il pensiero
che siamo alla resa dei conti.
Da anni è evidente il
progressivo esautoramento degli stati nazionali e della politica come loro
strumento elettivo. Al di là della vergogna o tristezza nazionale chiamata
Silvio Berlusconi, questo è un fenomeno globale e transnazionale che ha origini
lontane.
Le "piccole"
modifiche della Carta nata dalla Resistenza (nel 2001 tit. V Parte II Cost.,
artt. 114-133 e all'art. 118 comma 1; 2012 Il fiscal compact, art. 81) che
riguardavano sussidiarietà e pareggio di bilancio, quanto sono state efficaci e
chirurgiche per i sostenitori del neo-liberismo senza limiti, tanto sono state
deleterie per chi crede in un modello diverso di convivenza umana. In ogni caso
annunciavano ulteriori e definitivi attacchi all'ultima diga posta a
salvaguardia della democrazia, dei diritti e, per dirla con Hannah Arendt, del
diritto di avere dei diritti.
Dicevo, paura.
A luglio, quando con un
colpo di mano estivo le riforme costituzionali sono state messe al primo posto
dell'agenda parlamentare, la paura è diventata di necessità, azione.
A fine luglio è nato il
Comitato Viva la Costituzione del Veneto
e, successivamente, abbiamo partecipato e aderito all’Assemblea
dell’8 settembre al Frentani di Roma, convocata da Rodotà, Landini, Carlassare,
Zagrebelsky e don Ciotti, dalla quale è nata la proposta di una Manifestazione
Nazionale a Roma per il 12 ottobre.
L’Assemblea ha
decisamente convinto, per la prima volta dopo tempo si è respirata la
possibilità di una seria e costruttiva opposizione senza velleità elettorali e
centrata su un dialogo politico che sappia aprire al futuro e non al passato
delle varie identità presenti.
L’Assemblea inoltre, ha convinto per le personalità dei promotori, non ambigue e
autorevoli, per i contenuti, per la gestione di un processo teso a unire
piuttosto che a dividere, per il timone orientato nella direzione dei movimenti
e delle battaglie da questi sostenute e spesso vinte, tenendo fuori, saggiamente
e speriamo con forza, i partiti.
Pur essendo
consapevoli, dopo tante illusioni a sinistra, che non sempre il buon giorno si
vede dal mattino, abbiamo semplicemente preso atto di un inizio molto positivo.
Giustamente è
stato detto che il percorso tra il 9 settembre e il 12 ottobre, è e sarà
indicativo della possibilità di aggregazione di tante realtà che possono
identificarsi in un comune progetto di difesa e di sostegno della Costituzione,
proposta come prossima Agenda politica.
Oggi, 4 ottobre,
dopo la minaccia superata della crisi di governo e dopo l’ignobile balletto del
PDL e del PD, la volontà di stravolgere la Costituzione appare, purtroppo, ancor più forte e determinata, tanto da far
pensare a molti, che sia proprio questo il principale obiettivo di questo
disastrato ma potentissimo governo, presieduto nei fatti da Napolitano, dalla
Troika e dai poteri economici che ne ispirano l’azione.
E’ ormai indubbio
che l’Italia non è più governata da un governo e da un Parlamento eletto dai
cittadini: il Parlamento è un parlamento di nominati eletti con una legge che verrà
probabilmente dichiarata a breve incostituzionale, il governo è un governo non
voluto dagli elettori e a decidere le sorti del governo, è un Presidente della
Repubblica garante di una volontà europea e extrapolitica. Molte volte è stata citata la relazione della
Banca J.P. Morgan che esprime il diktat di annullamento delle Costituzioni
nazionali che intralciano lo strapotere dei mercati.
Solo ora, ai più,
questo disegno appare con chiarezza e solo ora ci si rende conto che i giochi
sono quasi totalmente decisi.
L’8 settembre ha
visto la luce una prima opposizione a tutto questo. Cosa ne sarà?
Maurizio Landini,
nel suo intervento a conclusione dell’Assemblea al Frentani ha risposto
che: “se qualcuno vuole sapere come
andrà a finire è meglio non inizi neppure”.
Ritengo una
garanzia questa mancanza di promesse: ne abbiamo sentite troppe di promesse e
abbiamo avuto troppo bisogno di sicurezze fornite dal “salvatore” di turno.
Basta. Ora c’è
bisogno di costruire, di non delegare, di riprendere in mano, ciascuno e ognuno
il diritto-dovere di fare e soprattutto di ri-creare la politica.
Non è scontato.
Non è facile.
Non sarà un
percorso scevro da delusioni e ferite.
Ma è l’unica e
forse l’ultima possiblità che ci rimane.
Basta stare alla
finestra per vedere se il progetto “ci convince”.
Non so quanti
saremo a Roma, speriamo molti.
In ogni caso sarà
dal 13 di ottobre che inizierà il vero lavoro.
Più volte è stato
chiesto a Rodotà e Landini se hanno intenzione di creare un nuovo soggetto
politico.
La speranza che qui
esprimiamo è che non lo facciano, per ora. Se dovrà essere, questo
soggetto dovrà nascere come risultante necessaria di un processo di fusione
sana delle energie migliori, dalla convergenza dei movimenti più intraprendenti
e lungimiranti del paese, dalla saggia gestione di un processo politico
inclusivo ma con il timone fermo verso l’obiettivo, dalla creazione di gruppi
di lavoro, espressione di vere risorse umane e politiche e non vetrine
narcisistiche e autoreferenziali di personalità singole, di cui è pieno
l’orizzonte politico e sociale italiano, nei partiti come nei movimenti.
E’ necessario
quindi promuovere un cambiamento culturale nei modi di far politica, una
modalità all’altezza dei contenuti e delle forme che la politica oggi esige:
persone nuove e credibili; non protagonismi o figure pseudo-salvifiche; condivisione di buone pratiche sociali e
politiche; processi partecipati innovativi e gestiti con competenza; termini e
linguaggi nuovi, disancorati da tradizioni lise e desuete.
Tutto questo sarà
possibile se partiti e movimenti sapranno fare, rispettivamente un passo
indietro e un passo avanti.
I partiti e i
soggetti politici tradizionali della sinistra dovrebbero fare, ovviamente, un
passo indietro dal panorama politico e offrire, a questo progetto comune, il
loro supporto logistico e organizzativo a livello territoriale. In questo caso
il loro “non fare” sarebbe una potente azione politica e la rinuncia a simboli
e bandiere l’accreditamento più forte di rinnovamento.
I movimenti,
d’altro canto, dovrebbero cercare di superare particolarismi e localismi,
effettiva risorsa fino a questo punto, ma che rischia di essere anche la loro
massima debolezza in questa nuova fase. Parallelamente dovrebbero fare un
decisivo passo avanti verso una maggiore assunzione di responsabilità politica,
sia in termini di persone che di know how partecipativo e tecnico.
Si tratta quindi
di un ricambio non necessariamente generazionale, ma sicuramente di un ricambio
esperienziale e di modelli partecipativi.
Troppo ambizioso?
Sì probabilmente,
ma se non riusciamo a fare tutto questo, sarà difficile poter ottenere
risultati importanti: il peso specifico del passato sarà troppo forte e troppo
pervasivo.
Dobbiamo puntare
veramente in alto, in alto rispetto al grado di
cambiamento per affrontare una grande sfida che vede la
Costituzione come punto di partenza e punto di arrivo comune.
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